Il “barbera bianco” prodotto in Romania e il gorgonzola grattugiato proveniente dagli Usa, il barolo canadese e il nebbiolo svedese (entrambi in polvere) e perfino il Parmigiano, che non ha nulla a che vedere con il famoso formaggio italiano. Si parla di un business di oltre 60 miliardi di Euro per i truffatori che sfruttano l’immagine e la qualità dei prodotti alimentari “made in Italy”, costruita nel tempo dalle aziende agro-alimentari italiane, per vendere nel mondo falsi prodotti.

Il “barbera bianco” prodotto in Romania e il gorgonzola grattugiato proveniente dagli Usa, il barolo canadese e il nebbiolo svedese (entrambi in polvere) e perfino il Parmigiano, che non ha nulla a che vedere con il famoso formaggio italiano. Si parla di un business di oltre 60 miliardi di Euro per i truffatori che sfruttano l’immagine e la qualità dei prodotti alimentari “made in Italy”, costruita nel tempo dalle aziende agro-alimentari italiane, per vendere nel mondo falsi prodotti.

Questo è quello che emerge da uno studio presentato dalla Coldiretti al Salone del gusto di Torino, dove sono state esposte alcune delle opere più improbabili realizzate dai pirati. "La lotta alla contraffazione e alla pirateria rappresentano per le istituzioni un’area di intervento prioritaria per recuperare risorse economiche utili al Paese e generare occupazione", ha affermato il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, nel sottolineare che "le esportazioni agroalimentari potrebbero addirittura triplicare".

Oltre alla perdita di opportunità economiche e occupazionale bisogna aggiungere, sottolinea la Coldiretti, "il danno provocato all’immagine dei prodotti made in Italy soprattutto nei mercati emergenti dove il falso è più diffuso del prodotto autentico e condiziona quindi negativamente le aspettative dei consumatori".

I prodotti tra i più contraffatti sono i formaggi a partire dal parmigiano Reggiano e dal grana Padano che ad esempio negli Stati Uniti in quasi nove casi su dieci sono sostituiti dal parmesan prodotto in Wisconsin o in California. Ma anche il provolone, il gorgonzola, il pecorino romano, l’Asiago o la fontina.

E ancora i nostri salumi più conosciuti dal Parma al san Daniele, ma anche gli extravergine di oliva e le conserve come il pomodoro san Marzano che viene prodotto in California e venduto in tutti gli Stati Uniti.

Tra le news del mercato della contraffazione sono arrivati anche i “wine kit” che con polveri miracolose promettono in pochi giorni di ottenere a casa le etichette più prestigiose come il Barolo o il Nebbiolo ma anche, Lambrusco, Chianti o Montepulciano. A differenza di quanto accade per la moda, dove a copiare sono soprattutto i paesi poveri per il cibo made in Italy le imitazioni proliferano specialmente in quelli ricchi, come gli Stati Uniti e l’Australia.

“Bisogna combattere un inganno globale, che causa danni economici e di immagine alla produzione italiana sul piano internazionale", osserva Coldiretti. Secondo l’associazione serve un accordo sul commercio internazionale nel Wto, per la tutela delle denominazioni dai falsi, ma è anche necessario fare chiarezza a livello nazionale ed europeo, dove occorre estendere a tutti i prodotti l’obbligo di indicare in etichetta l’origine dei prodotti alimentari, come previsto dalla legge italiana.

A volte anche questo non basta, in questo momento è importante cercare di utilizzare ogni risorsa disponibile per percorrere processi di internazionalizzazione del nostro prodotto effettuati direttamente dall’Azienda in collaborazione con “professionisti del settore”, che siano in grado di organizzare eventi b2b per introdurre il prodotto “originale” direttamente dal produttore nel mercato di riferimento.